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Opinioni

Far Cry: Primal, 5 cose che ci sono piaciute

Dalle isole paradisiache e le montagne dell’Himalaya la serie si è ora spostata indietro nel tempo fino al periodo Mesolitico, abbandonando le armi da fuoco in favore di archi e lance e sostituendo veicoli e binocoli con mammut e animali da domare.
A cura di Marco Paretti
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Non è mai facile "tornare indietro". Non lo è quando si tratta di ripercorrere i propri passi dopo aver esplorato determinati scenari futuristici, figuriamoci quando l'intera ambientazione torna indietro di decine di migliaia di anni. È questa la apparentemente rischiosa scommessa di Ubisoft con Far Cry Primal: dalle isole paradisiache e le montagne dell'Himalaya la serie si è ora spostata indietro nel tempo fino al periodo Mesolitico, abbandonando le armi da fuoco in favore di archi e lance e sostituendo veicoli e binocoli con mammut e animali da domare. Una scelta sicuramente interessante e originale, che impone l'abbandono di determinate dinamiche in favore di una storia diversa e inedita. Ecco i 5 elementi più interessanti del gioco.

L'ambientazione

È innegabile, il primo impatto con il periodo Mesolitico è immenso. Letteralmente, perché, come da tradizione, la mappa di gioco è davvero enorme e spazia da montagne a grandi vallate, passando per fiumi, laghi e ghiacciai. Ciò che colpisce è anche, ovviamente, l'ambientazione non più caratterizzata dal passaggio dell'uomo ma governata dalla natura. Già, perché nel 10.000 ac gli esseri umani non si trovano ancora in cima alla catena alimentare e, anzi, devono farsi strada con molta cautela per non cadere vittime delle bestie feroci o degli altri clan più guerrafondai. L'atmosfera è pienamente riuscita e Primal rappresenta sicuramente la ricostruzione del periodo preistorico migliore della storia videoludica.

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La storia

Nel gioco impersoniamo Takkar, un uomo appartenente alla tribù dei Wanja, un popolo pacifico che, dopo anni di tranquillità nella terra di Oros, viene attaccato e decimato dai cannibali Udam e dagli Izila, maestri del fuoco. Saranno queste due le tribù che andranno a costituire i nemici veri e propri – animali a parte – del gioco, ovviamente caratterizzati da due capi dotati di una forte caratterizzazione, come da tradizione per la serie Far Cry. Interessante, infine, le modalità con le quali viene narrata l'intera storia: gli sviluppatori hanno realizzato i dialoghi creando una lingua ispirata al proto-indo-europeo, doppiando poi tutti i personaggi e relegando ai sottotitoli (in italiano) il compito di rendere il tutto comprensibile ai giocatori.

Gli animali

Fondamentali ai fini del gioco sono gli animali che popolano le grandi lande di Oros. Non solo perché le grandi vallate e le montagne ne sono ricolmi, con tutti i pericoli che ne conseguono, ma anche perché nella ricostruzione del Mesolitico secondo Ubisoft Takkar rappresenta, di fatto, il primo uomo in grado di domare queste bestie. Così, ad un certo punto del gioco, avremo la possibilità di controllare un gufo per individuare i vari pericoli dall'alto, ma anche addestrate vari animali feroci che ci aiuteranno a lottare contro altre bestie e membri delle tribù nemiche. Un'idea intrigante che va a fornire al gioco un elemento "diverso" rispetto ai classici Far Cry, sostituendo al tempo stesso in maniera egregia tutte quelle meccaniche che inevitabilmente si sono perse nel passaggio ad un'epoca così remota. Infine, gli animali sono importanti anche per l'aspetto della raccolta di cibo e risorse, fondamentale per curarsi o costruire nuovi oggetti. Peccato che il numero di belve non sia eccessivo: gli sviluppatori avrebbero potuto inserirne molti altri, sfruttando soprattutto le specie estinte.

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Le meccaniche "preistoriche"

Fin dai primi minuti il gioco mette subito le cose in chiaro: in Primal non si spara né ci si fionda giù dalle montagne con una tuta alare. Nella preistoria l'unico metodo per sopravvivere è nascondersi dagli animali più grandi, sfruttare con intelligenza arco e lancia e stare il più possibile in gruppo. Se da un lato l'utilizzo di strumenti così antiquati potrebbe sembrare limitativo, dall'altro questo rappresenta uno degli elementi che distanziano con efficacia il capitolo dalla serie principale. Già, perché uno dei problemi più evidenti del gioco è che Primal non riesce a sganciarsi troppo dall'impostazione standard della serie, che dopo poche ore emerge e racchiude tutto all'interno del solito contenitore. Insomma, Primal è un Far Cry ambientato nel Mesolitico e non semplicemente un gioco ambientato nella preistoria. Un elemento ovvio, ma che poteva essere reso meno evidente, anche osando di più.

Gli istinti primordiali

Narrare una storia ambientata così indietro nel tempo non è semplice. O forse sì. Se è vero che trovare dettagli riguardanti la vita dell'uomo decine di migliaia di anni fa è chiaramente complesso, è altrettanto vero che, come ha spiegato a Fanpage.it il Narrative Director Jean-Sebastien Decant, "lavorando con elementi del 10.000 ac si ha un margine d'errore di circa 2 mila anni che gli stessi studiosi ci hanno consentito". Restano quindi importanti i rapporti tra le tribù, la lingua, la ricerca di risorse e la connessione uomo/natura, con qualche divagazione che gli sviluppatori si sono permessi, anche per rendere il tutto più interessante dal punto di vista ludico. Come l'istinto, utilizzabile premendo un pulsante, che ci consente di accedere ad una visuale con la quale scoprire immediatamente elementi utili come piante, animali o pericoli.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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