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Call of Duty: Infinite Warfare, il colossal che non stupisce più

Il nuovo capitolo cerca di innovare con combattimenti a gravità zero e battaglie spaziali, ma resta troppo ancorato al passato per riuscire davvero ad uscire dai binari che contraddistinguono la serie da anni.
A cura di Marco Paretti
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Prima viene il successo, seguito dalla conferma e l'affermazione definitiva di un brand. Poi, però, arrivano l'apatia e la consuetudine, il dare per scontato un'uscita e l'attendersi tutto senza sperare in nulla. La serie Call of Duty ha dovuto fare i conti con questa situazione dopo anni di uscite puntuali, tentando di controbilanciare le altalenanti attese con una proposta sempre più spinta e dinamica, passando dalle guerre "tradizionali" a quelle nello spazio, sempre più veloci e frenetiche, sempre più esplosive e accattivanti. L'ultimo episodio, Infinite Warfare, rappresenta l'apoteosi di questa strategia ad alta spettacolarità. Ma tra combattimenti a gravità zero e viaggi spaziali, gli elementi che hanno reso Call of Duty una serie di successo sembrano sempre più lontani.

L'impatto con il nuovo capitolo è entusiasmante: il dinamismo dell'azione della campagna in singolo e la possibilità di viaggiare dalla Terra fino allo spazio più oscuro rendono Infinite Warfare un'esperienza visiva estremamente intrigante. Può non essere perfetta, ma rappresenta il tentativo di sradicare la serie dalle sue radici ormai fin troppo radicate in una proposta sempre uguale. Paradossalmente, però, il risultato finale di questo episodio è fin troppo familiare: nonostante lo spazio, le navicelle e il dinamismo delle sparatorie a gravità zero, Infinite Warfare non è altro che il solito, lungo corridoio condito da azioni coreografiche da film hollywoodiano. Divertente a tratti, ma che non stupisce più.

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Cambiano le dinamiche dei combattimenti e le possibilità di spostamento offerte dalle tute potenziate dei protagonisti, ma il concetto della serie non cambia: ci si sposta in ambientazioni futuristiche seguendo gli ordini di altri personaggi, evitando esplosioni mastodontiche e cedendo i controlli alle sempre più frequenti sequenze animate che ormai spezzettano l'esperienza in maniera costante durante la campagna. Elemento che coinvolge fastidiosamente anche le battaglie spaziali, dove, nonostante la possibilità di muoversi a 360 gradi, il nostro percorso è piuttosto limitato dall'onnipresente "corridoio invisibile". Discorso simile per i combattimenti a bordo di una navicella: divertenti in un primo momento, quando ci si fa prendere dall'azione e dal dinamismo di un combattimento spaziale. Ma quando il gioco comincia ad "aiutarci" nel colpire i nemici riportandoci costantemente sulla retta via, l'esperienza diventa solo ripetitiva e paradossale vista l'ambientazione.

Il problema principale di Infinite Warfare è questo: se da un lato la storia ci mette nei panni di un capitano e ci colloca in un ambiente apparentemente infinito e libero come lo spazio, di fatto ci lega inevitabilmente ad una concezione della serie vecchia e ormai fastidiosa, dove i giocatori non hanno la minima possibilità di scegliere cosa fare e come approcciare le missioni o anche solo decidere gli esiti della campagna. E se da un lato la nuova ambientazione solleva la serie dalle problematiche "politiche", lo fa inserendola in un contesto dove le battaglie fanno chiaramente l'occhiolino ad eventi storici come l'attacco a Pearl Arbour. Un peccato, perché questa impostazione va inevitabilmente a colpire anche la presenza di attori importanti ai quali la serie ci ha abituati negli ultimi anni.

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In Infinite Warfare è il turno di Kit Harington, che in molti conosceranno per essere il volto di Jon Snow in Game of Thrones. L'attesa per il suo primo ruolo nel mondo dei videogiochi era alta, ma il suo personaggio, Salen Kotch, non fa altro che perdersi in una trama che lo vede al comando di secessionisti marziani al limite della parodia. Il problema dell'impostazione adrenalinica è proprio questo: i personaggi non riescono a spiccare e a portare i giocatori ad affezionarsi. Dall'altro lato, però, le meccaniche di gioco diventano sempre più variegate e dinamiche e, dimenticandosi di essere limitati dai livelli, le novità divertono sia in singolo che in multiplayer. In questo la serie ha chiaramente raggiunto un livello interessante, che premia la creatività delle uccisioni e spinge i giocatori ad utilizzare ogni elemento in proprio possesso per avanzare nei livelli. Fattore che, con l'arrivo delle guerre futuristiche, non ha fatto altro che agghindarsi di nuovi gadget e armi, di granate anti-gravità e a ricerca e di innumerevoli robot che in questo episodio sono persino hackerabili.

Ciò che continua a funzionare è la modalità multiplayer, anche grazie proprio alle novità introdotte nella campagna a livello di armi e mobilità. Paradossalmente è proprio questa modalità a sottolineare fortemente i limiti della storia: a differenza della campagna, il multiplayer non dice ai giocatori cosa fare. Per questo funziona, lasciando l'amaro in bocca per l'occasione sprecata e per un prodotto riuscito solo a metà. Ora chiaramente la serie deve capire che strada intraprendere negli anni a venire, perché Call of Duty si è ormai addentrata pericolosamente nel territorio della diffidenza.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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