Ci sono giornalisti e giornalisti. Quelli che passano le giornate alla scrivania, quasi sempre al telefono e spesso e volentieri in giro per la città a fare interviste o servizi. Quelli che viaggiano tra una conferenza e l'altra per il mondo, sempre in treno o in aereo. Poi ci sono i corrispondenti di guerra, i giornalisti e i fotografi che coprono le zone calde del globo, sempre pronti a prestare penna ed occhio per restituisci la drammatica visione degli scenari di guerra.
Queste figure si sono trovate immerse in prima persona nel dramma della guerra ed è interessante notare come i fotografi abbiano sviluppato un occhio particolare per queste scene. Una percezione che risulta ancora più particolare quando, tornati alla normalità, si trovano alle prese con situazioni di tutt'altro tipo e di tutt'altra drammaticità. Devono aver pensato questo gli editor del TIME quando hanno chiesto ad Ashley Gilbertson, fotografo di guerra responsabile della copertura della guerra in Iraq e in Afghanistan per conto del New Yorker, New York Times ed altre testate, di giocare a The Last of Us e documentare l'atmosfera dura ed oppressiva che i giocatori devono affrontare nel gioco.
Questa è una pratica certamente non possibile in ogni titolo. La possibilità di scattare delle fotografie nei videogiochi con visuale in prima persona è limitata dalla presenza dell'HUD di gioco – gli indicatori sulla schermo – e di eventuali oggetti come armi od accessori in mano al protagonista.
Mentre, quando si parla di giochi in terza persona, il problema è proprio la visuale non più soggettiva ma a volo d'uccello sulle spalle del personaggio: una foto scattata in questo modo non potrebbe mai rappresentare l'occhio di un fotografo. The Last of Us Remastered, versione per console di nuova generazione del titolo uscito nel 2013 per Playstation 3, offre però un'interessante modalità con la quale fissare una determinata immagine del gioco: il Photo Mode.
Osannato da molti per le innumerevoli possibilità offerte, il Photo Mode ha creato una vera e propria comunità di "fotografi" che, negli ultimi mesi, hanno postato su internet i loro scatti migliori. Il TIME ha quindi ben pensato di dare una svolta particolare a questo trend, chiedendo ad un fotografo di guerra di cimentarsi con il gioco e catturare gli scorci più interessanti presentati dall'emozionante avventura di Joel ed Ellie.
Gilbertson si è detto subito interessato a quest'iniziativa ma, una volta preso il pad in mano, non tutto è andato come programmato. Il fotografo non è un appassionato di videogiochi e, avendo passato la maggior parte della sua vita in zone di guerra a fotografare combattenti armati, non si è sentito a suo agio nella parte del "carnefice". Ha dovuto quindi passare il controller ad un giornalista del TIME, il quale gli ha spianato la strada eliminando i nemici presenti nelle varie location del gioco e permettendogli di concentrarsi sul compito da reporter. Esattamente come in zona di guerra: i soldati liberavano una zona e lui poteva fotografare.
"A quel punto ho cominciato ad ottenere scatti migliori, perché l'intera situazione mi era più familiare. Qualcuno si occupava degli scontri mentre io potevo scattare fotografie" Ha spiegato Gilbertson. Il fotografo ha però precisato che l'esperienza generale è ben diversa da quelle affrontate nelle zone di guerra; in The Last of Us è possibile fermare il tempo per comporre lo scatto perfetto, senza temere attacchi improvvisi da parte dei nemici.
"Dovevo creare immagini imperfette, perché sono le imperfezioni che rendono la fotografia umana. Nelle pubblicità le fotografie sono perfette, mentre nel giornalismo c'è sempre qualche elemento che stona" ha continuato Gilbertson "Quella che qualcuno vede come una debolezza del nostro lavoro, io la vedo come parte del quadro generale".