Quando si parla di videogiochi in salsa horror c'è un nome che inevitabilmente spunta in ogni discorso degli appassionati: Shinji Mikami. È il nome di uno sviluppatore il cui altarino probabilmente campeggia in qualche stanza buia, dove un appassionato sta affrontando incubi e mostri provenienti da chissà quale dimensione per una sorta di irresistibile fascino masochista.
Perché, diciamocelo, giocare ad un horror è un po' da masochisti. Lo stesso sentimento che ci spinge ad andare al cinema a guardare Saw, L'Esorcista o Il Quarto Tipo. Con i videogiochi, però, è diverso; noi siamo i protagonisti ed esploriamo, interagiamo e avanziamo all'interno degli ambienti in maniera attiva, senza la possibilità di nasconderci dietro due mani mentre sbirciamo con un occhio tra le fessure delle dita. Nei videogiochi l'orrore ci colpisce in prima persona e, per gli amanti del genere, è un'emozione del tutto unica. Shinji Mikami, in questo, è una star assoluta. A lui dobbiamo infatti la leggendaria serie di Resident Evil, che da quasi vent'anni – il primo episodio risale al 1996 – terrorizza generazioni di videogiocatori.
Un incubo infinito, fatto di zombie, personaggi infernali e mostri di vario tipo. Un'eredità che viene ora raccolta dallo stesso Mikami, il quale ci ripropone un survival horror in terza persona chiaramente ispirato alla storica saga ma che ne utilizza le meccaniche solo come base, per poi sviluppare un nuovo modo di fare horror: The Evil Within.
C'è chi lo chiama "il nuovo Resident Evil" e in effetti non ha tutti i torti, pad alla mano The Evil Within ricorda sotto molti aspetti il feeling delle avventure di Chris, Claire, Jill e compagnia, ma propone alcuni elementi che lo rendono più interessante, attuale e dannatamente terrificante. La storia ruota attorno al detective Sebastian Castellanos, il quale si ritrova intrappolato da una forza misteriosa all'interno di una sorta di dimensione in continuo cambiamento, popolata da abomini e mostri di ogni tipo. Questo incipit dà il via ad un'estenuante lotta per la sopravvivenza, anche per capire cosa si nasconde dietro a questo incubo e come uscirne vivi.
Il mondo in continuo cambiamento non lascia mai in pace Castellanos e lo scaraventa da un luogo all'altro in continuazione: dal manicomio di Krimson City – città che dà il via all'avventura – ad un nebbioso villaggio costiero, da enormi magioni a chiese abbandonate. Il gioco sballotta Castellanos – e noi con lui – da un punto all'altro in un continuo incubo senza fine che riesce nel tentativo di confonderci e spiazzarci.
In poco tempo ci ritroviamo a vagare per corridoi decisamente troppo stretti, feriti ad una gamba ed inseguiti da un grosso omone ricoperto di sangue ed armato di motosega. Una situazione, quella del detective indifeso e costretto a fuggire, che si ripeterà spesso durante il gioco, con Castellanos inseguito da abomini di ogni tipo in ambienti angusti e terrificanti. Fortunatamente, però, non sarà sempre così e spesso avremo la possibilità di farci strada eliminando i nemici avvalendoci del ristretto ma efficace arsenale a nostra disposizione. Una pistola, un fucile e una balestra (più qualche arma aggiuntiva verso la fine dell'avventura) ci aiuteranno a farci strada tra i mostri, ma occhio a non dimenticare la natura survival horror del titolo; The Evil Within ci dà sì le armi, ma le munizioni vengono distribuite con il contagocce.
Pochi colpi che dovremo utilizzare al meglio, colpendo i nemici alla testa per poi bruciarli con i fiammiferi (pochi anche quelli) per evitare che si risveglino. Alle armi classiche si aggiungono le trappole da raccogliere e riutilizzare durante l'avventura e la possibilità di potenziare il nostro equipaggiamento grazie ad un liquido verde da raccogliere nelle varie location del gioco.
Discorso diverso per quelli che possono essere considerati gli scontri con i boss, i quali andranno affrontati in maniere del tutto differenti e che rientrano nella categoria delle battaglie ostiche: morire più volte prima di aver capito come combatterli efficacemente è una prassi per The Evil Within, che forse durante queste fasi ha una difficoltà un po' troppo marcata. In questi casi la paura lascia il posto alla frustrazione, con scontri troppo difficili e situazioni realmente ingestibili se non dopo averle affrontate più e più volte per capire come venirne a capo.
Il campo in cui The Evil Within brilla particolarmente sono le fasi d'esplorazione; in esse l'atmosfera opprimente e oscura dà il meglio di sé e ci fa sentire realmente persi in un vero e propri incubo. Il continuo cambiamento di luoghi crea una situazione confusionaria che non può non contagiare anche noi giocatori e contribuisce in maniera eccellente al nostro spaesamento.
Ne consegue una continua ricerca di un punto fermo e un costante senso di terrore misto alla sensazione di essere osservati sempre e comunque, un aspetto che ricorda non solo i migliori Resident Evil ma anche i più terrificanti Silent Hill. The Evil Within ci regala un horror che solo un maestro come Shinji Mikami poteva creare, ma proprio per questo è impossibile non notare alcuni problemi che ne affliggono lo svolgimento. Il gioco vorrebbe utilizzare le ottime ma vecchie meccaniche di Resident Evil, spiccando poi il volo grazie alle nuove introduzioni sia dal punto di vista del gameplay che da quello della narrazione. Un tentativo riuscito a metà, il quale fatica ad abbandonare le vecchie abitudini e ci propone un prodotto dalle possibilità enormi e non sempre sfruttate a dovere. The Evil Within rimane comunque un titolo da giocare e da sperimentare, addentrandosi nei suoi incubi di notte, a luce spenta. A quel punto sarete soli, voi e loro.