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Opinioni

No Man’s Sky è un’avventura ambiziosa e solitaria in un universo infinito

18 miliardi di miliardi, 18 trilioni. Sono i pianeti presenti in No Man’s Sky, l’ambizioso videogioco di Hello Games che propone ai giocatori un universo infinito generato in maniera totalmente casuale. Una scommessa difficile, ma che gli sviluppatori vogliono vincere.
A cura di Marco Paretti
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A Guildford, nel Regno Unito, c'è un uomo. Si chiama Sean Murray e vuole vendervi l'universo.

Non una rappresentazione ridotta, in scala o stereotipata, ma un intero universo, compiuto nella sua infinità e totalmente inesplorato. Anche dall'uomo che ve lo vuole vendere. Nella nostra galassia, la Via Lattea, ci sono circa 100 miliardi di pianeti. Nell'universo di Murray ce ne sono 18 miliardi di miliardi. 18 trilioni. Questo dovrebbe bastare per far comprendere la vastità dell'ambizione di un videogioco che sfida un settore ormai fortemente basato su seguiti e meccaniche cicliche con un'impostazione in grado, almeno sulla carta, di spazzare via ogni proposta finora legata al termine "sandbox", la libera interpretazione degli spazi e delle meccaniche di un gioco che, nelle mani dei giocatori, si trasformano di volta in volta in qualcosa di differente. In No Man's Sky la materia grezza è un universo intero e rappresenta una di quelle scommesse che ormai si vedono troppo raramente nel settore.

Nel gioco per PlayStation 4 e PC sviluppato da Hello Games, un piccolo studio inglese capitanato da Murray e composto da alcuni veterani dell'industria, i giocatori hanno la possibilità di esplorare questo spazio immenso liberamente, viaggiando a bordo di una navicella spaziale e sbarcando su ognuno dei 18 trilioni di pianeti disponibili e sparsi per l'universo virtuale. Se vi state chiedendo come sia possibile farlo, bhe, in realtà non lo è: per passare anche solo un secondo su ognuno dei pianeti disponibili impieghereste diverse centinaia di miliardi di anni e, contando che probabilmente il nostro sole si trasformerà in una gigante rossa tra circa 5 miliardi di anni, l'impresa risulta essere decisamente impossibile. Tanto che nemmeno Murray e i suoi colleghi hanno mai visto tutta la loro opera completa, il cui controllo finale è spettato ad alcune "sonde" inviate dagli sviluppatori in giro per l'universo alla ricerca di eventuali bug o problemi con il codice. Il risultato? Il 99,99 percento dei pianeti presenti nel gioco resterà inesplorato.

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È la magia dei mondi virtuali generati in maniera procedurale, sfruttando cioè linee di codice ed equazioni in grado di realizzare in maniera autonoma ogni mondo, pianta e animale, ma seguendo sempre una stessa logica. Ciò significa che un pianeta (e la sua fauna e flora), anche il più remoto, sarà identico per tutti i giocatori nonostante venga creato ogni volta dal sistema. Allo stesso tempo, però, questo approccio implica il fatto che gli sviluppatori non disegnino concretamente ogni singolo elemento del gioco – come invece avviene nella maggior parte degli altri titoli – ma si limitino a creare delle "istruzioni" che poi la nostra console o il nostro PC segue per ricreare l'universo. Pensate a No Man's Sky come se fosse un mobile dell'Ikea: il negozio vi fornisce i pezzi, in questo caso texture e risorse, e le istruzioni, ma il montaggio spetta a voi, così come spetta al sistema di gioco ricostruire man mano che ci spostiamo nello spazio tutti i pianeti e le stazioni spaziali sparse per l'universo.

Si tratta di un approccio incredibilmente complesso, soprattutto se applicato ad un'area così vasta: basta poco per generare dei veri e propri incubi di design o modificare un singolo elemento per mandarne all'aria altri 20. Quella di Murray è stata una sfida che aveva forse più rischi che altro, con da un lato un'industria sempre più adagiata su standard identici a se stessi e dall'altro un bacino d'utenza ad un passo dal raccogliere mazze e forconi nel caso in cui un gioco non riesca a soddisfare le aspettate. E nel caso di No Man's Sky le aspettative erano tanto grandi quanto lo era l'universo proposto dall'annuncio iniziale. D'altronde nell'apatia generale che caratterizza l'industria da diversi anni è inevitabile che un titolo del genere spicchi immediatamente, generando un'attesa fuori scala in ogni appassionato e non del genere. Non che siano mancati videogiochi emozionanti e sviluppati con maestria, anzi, ma quelli davvero innovativi si contano sulle dita di una mano.

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Poi, dal nulla, è arrivato Minecraft. Il re, almeno finora, dei videogiochi basati sullo sviluppo procedurale dei mondi virtuali, una proposta che ha di fatto rivoluzionato il settore attuale con un approccio di almeno trent'anni fa. La generazione procedurale è infatti un metodo adottato fin dagli anni '80 per sopperire alla mancanza di potenza dei processori, pur proponendo spazi ampi e sempre diversi. Ironicamente, uno dei primi titoli a sfruttare questa impostazione è stato Elite, un simulatore spaziale che consentiva di viaggiare attraverso alcune galassie esplorandone i pianeti. Questo legame con gli anni '80 è peraltro estremamente forte in No Man's Sky, se non dal punto di vista grafico sicuramente da quello dell'atmosfera. Lo si capisce dalla copertina del gioco, dalla riuscita colonna sonora e dal design di molti elementi virtuali: la passione di Murray e del suo team deriva in gran parte da quella per gli anni in cui si sognavano i misteri dello spazio.

In questo No Man's Sky sembra rappresentare per i videogiochi quello che, a sorpresa, Stranger Things ha rappresentato per le serie TV: uno spaccato incredibile dell'atmosfera degli anni '80, in grado di colpire chiunque abbia anche lontanamente attraversato quel decennio e quello successivo. Da questo punto di vista il titolo di Hello Games non delude, confezionando un'esperienza interessante, spontanea e astronomicamente ambiziosa. Ma allo stesso tempo totalmente libera. Il gioco prende il via su un pianeta diverso per ogni giocatore: nel mio caso era un corpo celeste dalla temperatura umanamente sostenibile ma caratterizzato da una pioggia radioattiva che mi ha costretto a ripararmi più volte durante la raccolta delle risorse necessarie a riparare la mia astronave. Già, perché gran parte del gioco è basato, proprio come lo era Minecraft, sulla raccolta di risorse e materiali, che possono essere raccolti sulla superficie dei pianeti attraverso l'utilizzo di uno strumento dotato di raggio minerario. Questi oggetti serviranno poi per effettuare pressoché ogni azione: ricaricare l'arma, rifornire la nave spaziale, gestire i sistemi vitali e creare oggetti e potenziamenti.

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Perché in fondo No Man's Sky è prima di tutto un gioco d'esplorazione. L'obiettivo "principale" è quello di raggiungere il centro della galassia – per un motivo che il giocatore non conosce – e per farlo sarà necessario scegliere tra tre "strade" differenti. L'esplorazione libera, dove dovremo proseguire liberamente per la nostra strada, la scorciatoia attraverso i buchi neri e la strada dell'Atlante. Questa è forse quella più misteriosa, perché getta nel calderone una sorta di sottotrama religiosa che ci porta a seguire un'entità alla quale giuriamo più volte fede e che ci guida attraverso il nostro viaggio. Sono questi piccoli dettagli a rendere No Man's Sky qualcosa di più di un "semplice" sandbox dove il giocatore è lasciato alla mercé di qualche strumento con cui modificare il mondo e la storia. Perché tra esplorazione, ricerca di risorse, scontri nello spazio, commercio, gestione della nave e letteralmente un'infinità di pianeti, la quantità di elementi a disposizione è inimmaginabile. C'è persino un sistema di linguaggi da apprendere che ci consente di interagire con le varie razze presenti nell'universo, le quali potranno diventare nostre alleate o acerrime nemiche. Al di là di queste interazioni, però, il nostro viaggio sarà totalmente solitario.

Ma la vera domanda, al netto delle aspettative, è: questo universo sterminato e pieno di contenuti funziona? La verità è che sì, funziona in quasi ogni aspetto, ma non tutti potrebbero apprezzarlo e non tutti potrebbero farlo a lungo. Il punto è che, sebbene No Man's Sky sia indubbiamente più "amichevole" di titoli come Elite: Dangerous – caratterizzato da un universo più contenuto ma dall'approccio maggiormente simulativo -, il rischio è sempre quello che non tutti i giocatori potrebbero rimanere impressionati dalla vastità del suo universo e, anzi, alcuni potrebbero restarne così intimiditi da perdere interesse nel dedicarsi ad un obiettivo che comunque richiede diverse decine di ore per essere completato. È una questione di gusti, ovviamente, che però non può eliminare una sensazione che inevitabilmente attanaglia i giocatori dopo qualche ora di gioco: No Man's Sky sembra essere un esercizio di stile e tecnica estremamente riuscito, ma la sostanza può diventare velocemente ripetitiva. Oppure no. C'è molto da fare, ma alla fine gran parte del tempo lo si passa raccogliendo risorse e, solo dopo averlo fatto, spostandosi da un pianeta all'altro in una ridondanza che può facilmente scadere nella noia o nell'entusiasmo. Probabilmente No Man's Sky resterà questo: un esperimento che, insieme a titoli come Minecraft, Brad, The Witness e tutta quella schiera di giochi indipendenti che provano ad uscire fuori dal coro, contribuirà a dare una spinta verso qualcosa di nuovo e misterioso. Come la vastità di un universo procedurale, il cui centro è però ancora lontano.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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