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Opinioni

Metal Gear Solid V: Ground Zeroes e la vera essenza dell’open world

Il titolo di Kojima dimostra come in un sandbox non sia importante la dimensione della mappa, ma le possibilità offerte all’interno della stessa.
A cura di Marco Paretti
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Ground Zeroes

Durante l'ultimo E3 si era creato un piccolo gioco tra i giornalisti presenti e non alla fiera di Los Angeles: contare quante volte gli sviluppatori usassero il termine "open world". Quest'ultimo è stato forse abusato, ma in questi giorni abbiamo la possibilità di riflettere su cosa significhi realmente e su quali siano le effettive possibilità offerte da un mondo totalmente aperto. InFamous: Second Son e Metal Gear Solid: Ground Zeroes, usciti entrambi la scorsa settimana, mostrano perfettamente la differenza tra un vero titolo sandbox e uno solo apparentemente ambientato in un mondo plasmabile.

“ Questa base rappresenta solo una piccola parte del mondo di MGS V ”
Hideo Kojima
In inFamous abbiamo la possibilità di sfrecciare in lungo e in largo attraverso una Seattle digitale, utilizzando i superpoteri del protagonista per muoverci velocemente da una parte all'altra della mappa. In Ground Zeroes, invece, siamo confinati su un'isola all'interno di un campo militare, una zona estremamente ridotta rispetto a quella del titolo Sucker Punch. Ma allo stesso tempo più varia. Se infatti inFamous è basato quasi esclusivamente sull'idea di correre, saltare da un tetto all'altro e sconfiggere i nemici grazie ai poteri da conduit, le possibilità offerte da Ground Zeroes sono più ampie e più aperte, libertà che spesso si mostra nelle partite successive alla prima. Il titolo di Kojima è infatti nato per essere giocato, esplorato e spolpato come ogni Metal Gear che si rispetti, il quale ha sempre nuovi oggetti nascosti o sfide da offrire.

È come il recinto della sabbia destinato ai bambini (il sandbox, appunto). Immaginate di giocare con tutta quella sabbia solo con un secchio e una paletta, è divertente ma allo stesso tempo sapete che potreste fare di più. Immaginate ora di giocare con paletta, rastrello, secchiello e una quantità spropositata di formine; le possibilità diventano enormi e, anche in una sandbox più piccola, potrete costruire più cose di qualità nettamente superiore.
Chiaramente i classici titoli "vai dal punto A a quello B" ci intrattengono ottimamente con scontri, distruzioni e spettacolarizzazioni in genere, come inFamous o Assassin's Creed dimostrano, ma il concetto di open world è un altro e si incarna perfettamente in altri giochi. Basti guardare alla libertà offerta da Far Cry 3 o al sempreverde GTA V, i cui momenti più divertenti sono quelli nei quali i giocatori provano a creare le loro storie, sfruttando la libertà che il titolo Rockstar offre.

Questa banalizzazione del termine open world ci preclude quelle che potrebbero essere le reali potenzialità di un sistema davvero aperto. Con Ground Zeroes stiamo solo osservando la superficie di un sandbox vero.  Le sperimentazioni, le prove e i fallimenti ci portano a variare il nostro approccio a seconda della situazione che il gioco ci propone, che nel caso di Ground Zeroes dipende da molti fattori, proprio come quando cerchiamo di costruire un castello di sabbia per tentativi: il primo crollerà subito, ma poi impareremo ad usare la sabbia bagnata e le formine giuste.
Ground Zeroes non è l'open world perfetto, ma rappresenta l'approccio mentale giusto a questo tipo di giochi: non una mappa enorme ed esplorabile, ma un sistema aperto in uno spazio aperto che inviti il giocatore a combinare più elementi per trovare la soluzione.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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