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Opinioni

I videogiocatori hanno perso il controllo dei videogiochi

Negli ultimi anni l’industria videoludica è cambiata, si è evoluta ed ha abbracciato nuove realtà. Il termine “videogiocatore”, invece, è rimasto inflessibile. Una situazione che ha generato polemiche e discussioni, le quali hanno portato all’inevitabile conclusione: i videogiocatori sono diventati irrilevanti.
A cura di Marco Paretti
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Videogiochi

Il videogiocatore è morto. Non è una storpiatura dell'aforisma Nietzschiano, ma una presa d'atto consapevole dell'attuale situazione dell'industria videoludica. Facciamo un passo indietro. Negli ultimi mesi, su internet, si sono sprecati gli attacchi da parte degli appassionati di videogiochi agli sviluppatori e ai giornalisti; seguendo un trend in crescita in ogni settore, la voce degli appassionati si è spostata dai portali specializzati (come NeoGaf o Reddit) ai ben più "pubblici" social network. Un cambio di scena che ha messo in luce diversi lati oscuri del mondo videoludico.
In questo clima confusionario è proprio la definizione stessa di videogiocatore ad aver ceduto per prima; chi possiamo identificare, nel 2014, come videogiocatore? Chi gioca a Call of Duty e FIFA? Chi gioca a Candy Crush Saga e Flappy Bird? E se questi ultimi li poniamo sullo stesso livello dei primi siamo in errore? Un quesito che ora più che mai va risolto, perché se negli anni i videogiochi si sono evoluti e hanno accolto sempre più utilizzatori, il termine stesso è rimasto poco flessibile ed ancorato ai dogmi di decine di anni fa.

Per capire meglio la situazione, però, è utile fare un ulteriore passo indietro. Immaginiamo per un istante che l'intera industria cinematografica sia vecchia di 50 anni, non di più. I primi film necessitavano di tecnologie complesse ed equipaggiamenti estremamente costosi, fattore che li ha resi "figli" della classe medio alta composta da ingegneri bianchi iscritti a grandi università. Immaginate che, essendo prodotti negli anni 60, i primi film fossero solamente delle pellicole fantascientifiche.
Dai laboratori ai cinema il passo è breve e nel giro di una decina d'anni le persone che si interessano al cinema sono solamente quelle appassionate di scienza e nuove tecnologie con tempo e denaro da spendere in questa passione: giovani bianchi emarginati. Immaginate migliaia di giovani ragazzi andare al cinema dopo la scuola e passare ore nel buio a guardare film, ghettizzandosi e fuggendo dalla realtà. Ora immaginate che questi ragazzi vengano etichettati dal resto delle persone: cinefili.

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La stampa e gli stessi produttori di film, inevitabilmente, cominciano ad utilizzare termini e modi di dire derivati dalle tematiche trattate nelle pellicole: "I cinefili invadono il centro commerciale!", " La vendetta degli appassionati di cinema!", "I film conquistano il salotto!". Molti potrebbero cominciare ad avere dei dubbi: che cosa succede nelle teste di questi appassionati? Che effetto ha tutta questa violenza fittizia ma fatta passare per reale? I cinefili, giustamente, difenderebbero la loro posizione dicendo che non c'è nulla di male nel guardare film, prenderebbero questo stigma e ne farebbero un'identità, dando al medium stesso un significato strettamente legato ai primi film prodotti.
Per concludere questo sforzo mentale, immaginate che negli ultimi quindici anni i film siano diventati molto più semplici da produrre e, soprattutto, che le persone abbiano realizzato che potrebbero e dovrebbero creare film di ogni tipo. Immaginate i primi cinefili, ormai diventati genitori, che vogliono andare a guardare film che possano interessare anche ai loro figli. In un lampo i film sono cambiati drasticamente. In men che non si dica ogni classe prima emarginata ora avanza pretese sul medium e, visto che i film sono diventati più semplici da realizzare, cominciano a venir prodotte varie pellicole che li possano rappresentare. A questo punto il termine stesso non avrebbe più senso: ognuno guarda film! Ma, in uno scenario del genere, come reagirebbero i cinefili "originali"?

Molti sarebbero entusiasti, il prodotto prima di nicchia si è aperto ed ha abbracciato un pubblico più ampio, andando ad arricchire la comunità di spettatori e l'offerta stessa del settore cinematografico. Altri, però, sarebbero profondamente arrabbiati nei confronti dei responsabili di questo cambiamento. Vedrebbero cinema invasi da film che non li rappresentano e riguardanti tematiche che non li riguardano. E, cosa ancora peggiore, i giornalisti celebrerebbero questi nuovi film, mettendo in dubbio le vecchie pellicole e l'eccessiva limitatezza che le caratterizzava. Gruppi di scontenti creerebbero discussioni e forum su internet, contrastando le persone responsabili dei nuovi film.
Questo scenario, ovviamente, sembra assurdo nel mondo del cinema: i film sono un medium democratico, facilmente comprensibile e per tutti. Una pellicola può riguardare qualsiasi tematica e chiunque, nel 2014, guarda film. Il settore videoludico, invece, è ben lontano da questa democrazia. Ora come non mai sono facili da creare, intuitivi da giocare e stanno via via abbracciando tematiche sempre più complesse. Un'apertura che ha portato ad un ampliamento notevole del numero di fruitori di videogiochi, ma che non ha modificato il significato del termine "videogiocatore".

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Oggi i videogiochi sono di tutti. Per questo, allo stesso tempo, non sono di nessuno. Sono delle persone di colore, dei gay, dei bambini, degli anziani e dei diversamente abili. Sono delle donne. Quest'ultimo è forse uno dei punti più caldi e che più stanno dilaniando l'industria. Le donne, a differenza di quanto i pregiudizi hanno cercato di convincerci negli anni, giocano ai videogiochi; in America le quote rosa superano persino il numero dei videogiocatori maschi under 18.
Nonostante questo, quando qualcuno parla di strumentalizzazione della donna nei videogiochi la polemica è immediata. Impossibile non tirare in causa la figura di Anita Sarkeesian, da sempre attiva nella lotta al maschilismo videoludico e che nelle ultime settimane è stata letteralmente investita da un'ondata di critiche in seguito alla pubblicazione di un video nel quale denunciava l'oggettificazione del corpo femminile nei videogiochi. La Sarkeesian è stata costretta ad abbandonare il suo appartamento a causa di pesanti minacce rivolte verso di lei e la sua famiglia. Eppure, anche qui, si tratta di responsabilizzare il medium videoludico dando spazio a tutte le sfaccettature della nostra società, donne comprese. Se i videogiochi si evolvono, imparano, crescono ed abbracciano sempre più tematiche, perché il termine stesso che identifica i fruitori di questo medium non può evolversi? Perché i videogiocatori sono quelli che giocano ad Halo, Tomb Raider e Assassin's Creed e non quelli che passano del tempo con Bejeweled e Fruit Ninja? È inevitabile: negli ultimi anni il settore videoludico è cambiato. Anni nei quali il videogiocatore è caduto, ha arrancato e poi, inevitabilmente, è morto.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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