Un uomo raccoglie alcune armi poste su un tavolo, carica il fucile, si mette in tasca una granata e inserisce il coltello nella cintura. Lui è l'impersonificazione dell'uomo nero: cappotto di pelle scuro, capelli lunghi che coprono il viso, voce rauca.
I suoi discorsi sono terribili: "Odio il mondo. La mia vita è fredda. Voglio morire violentemente. Nessuna vita merita di essere salvata". L'uomo esce di casa e comincia a sparare all'impazzata, uccidendo chiunque: donne, uomini, poliziotti. Un minuto e quaranta secondi di pura follia omicida. È il trailer di Hatred, un videogioco in uscita nel 2015 che, inevitabilmente, ha attirato a sé numerose polemiche. E ha battuto la censura.
Un passo indietro. Ad ottobre Distruttive Creations pubblica il trailer di un gioco di prossima uscita, Hatred appunto. Bastano un paio d'ore per far esplodere la polemica; secondo i più critici il gioco è troppo violento, anzi, non ci sarebbe nemmeno un "gioco" ma solo follia. C'è chi si chiede come si possa creare un titolo del genere, dove si spara a degli innocenti senza motivo. In una scena il protagonista uccide una donna stesa a terra infilandogli la pistola in bocca.
"Volevamo creare qualcosa contro il trend generale" hanno subito spiegato gli sviluppatori "Così abbiamo creato un gioco dove si uccidono le persone, nel quale l'unica ragione che spinge il protagonista è il suo odio per il mondo".
Nelle settimane successive l'ondata di polemiche cresce a dismisura, persino Epic Games – sviluppatrice del motore grafico che muove il gioco – si è dissociata dalla produzione arrivando persino a chiedere di rimuovere il suo logo dal trailer. Una batosta continua giunta all'apice con la scelta di Steam, la piattaforma che avrebbe dovuto pubblicare il gioco, di annullare tutto. Hatred non s'ha da fare.
Censura. Lo spettro di ogni arte. La voce si sparge in rete, c'è chi gioisce e chi si lamenta. C'è chi, negli uffici Valve – proprietaria di Steam – si stupisce della decisione. Ironico sia proprio il co-fondatore dell'azienda, Gabe Newell, a farlo, ordinando un immediato dietrofront, ripubblicando la pagina su Steam e inviando una mail di scuse agli sviluppatori. E così si ritorna al circolo infinito di critiche.
Hatred è un gioco volutamente contro il politically correct, quindi, ma che qualcuno continua a non comprendere: "Non vi siete spinti un po' oltre?". È vero, vestire i panni di un assassino psicopatico è forse un po' troppo borderline, ma siamo sicuri che l'unica soluzione sia la censura? Perché no, non lo è.
La soluzione è non giocarlo. Prendendo in prestito le parole del creatore di un altro videogioco fortemente criticato, Grand Theft Auto, si potrebbe tranquillamente rispondere alle critiche con un "se non vi piace, non giocatelo". Perché con giochi come Hatred nessuno sta obbligando nessuno ad uccidere virtualmente centinaia di innocenti. Men che meno obbliga i minorenni a farlo, visto che il PEGI – il sistema di classificazione in base all'età che regolamenta la vendita di videogiochi – è stato istituito proprio per evitare questo. Siete preoccupati che i vostri figli stiano giocando a titoli nocivi o dalla dubbia morale? Basterebbe sedersi con loro e parlarne: cercare di capire cosa stanno davvero utilizzando e non demonizzarlo a priori.
Eppure, se i genitori comprano GTA, Carmageddon o Rule of Rose al figlio 11enne, la colpa è dei videogiochi. E così negli anni siamo passati attraverso interrogazioni parlamentari, petizioni e proteste. Ma la censura no. La censura non può e non deve colpire i videogiochi. Hatred deve uscire, così come, facendo un paragone con il medium cinematografico, The Interview doveva essere pubblicato nonostante le minacce della Corea del Nord. Anche se alla fine si è rivelato essere un film terribile.
Questo perché ci sarà sempre qualcuno che considererà un videogioco come scomodo, offensivo o politicamente scorretto. Ma allo stesso tempo queste critiche non dovranno mai precludere la possibilità di giocarlo a chi vuole farlo. Sarebbe terribile per la libertà d'espressione, anche se questo significa pubblicare un titolo come Hatred. Che probabilmente sarà terribile, vuoto e senza senso come The Interview. Ma nonostante questo merita di essere pubblicato. E, nel caso, snobbato dal pubblico.