Nel 1986 Hironobu Sakaguchi fu messo davanti ad un ultimatum: realizzare un gioco di successo o abbandonare il settore dei videogiochi. Quella partorita dalla sua mente sarebbe stata la sua fantasia finale, invece si è trasformata nella scintilla di un successo che a distanza di trent'anni echeggia ancora nel nostro mondo e smuove milioni di fan. Final Fantasy è nato dalla disperazione e dalla testardaggine, dal rigore giapponese e dalla consapevolezza dei propri limiti. Si è evoluto in un fenomeno incredibile, capace negli anni di mutarsi senza mai abbandonare la sua anima, passando dalle due alle tre dimensioni, abbandonando il sistema di combattimento a turni e proponendo storie e personaggi sempre così distanti tra loro ma intimamente accomunati. Oggi, alla vigilia dell'uscita del quindicesimo episodio, la serie sembra tornare indietro nel tempo a quel fatidico 1986: tante sono le aspettative e i fardelli posati sulle spalle di questo episodio, che ormai ha assunto davvero le sembianze di una fantasia finale non solo per la serie ma anche per l'intero settore giapponese.
È indubbio che nel corso degli ultimi anni il Giappone, un tempo punta di diamante per lo sviluppo videoludico, abbia ceduto il terreno ad un'industria americana sempre più aggressiva, capace di colpire lo sviluppo asiatico proprio nel settore in cui si è sempre rivelato maestro: quello dei giochi di ruolo, che sull'onda del successo di Final Fantasy hanno sempre trovato un terreno fertile. Eppure nell'ultimo decennio la tendenza si è invertita: in seguito al decimo episodio Final Fantasy ha proposto due capitoli online e due storie che non sono riuscite ad entrare nell'immaginario dei giocatori come avevano fatto fino ad allora gli altri episodi. Nel frattempo il resto delle proposte giapponesi si è pian piano affievolito, lasciando campo libero all'occidente, che, con titoli del calibro di Mass Effect,Dragon Age e The Witcher e nonostante l'ampio divario che li separava dall'offerta giapponese, è riuscito a catalizzare l'attenzione dell'intera industria.
Così, nel 2016, si è arrivati a Final Fantasy XV e ai suoi immensi fardelli. "In ogni capitolo è presente lo spirito della fantasia finale" ha spiegato Hajime Tabata ai microfoni di Fanpage.it. "Non sento la responsabilità di rilanciare tutto il settore giapponese, però vogliamo rendere Final Fantasy XV il punto di riferimento dei giochi di ruolo giapponesi". Riflette un attimo ascoltando il traduttore, poi aggiunge: "Nell'attuale settore internazionale sono presenti molti titoli occidentali di buon livello e noi vogliamo realizzare il miglior titolo possibile". La stanchezza generata da questo compito è evidente, sia durante il nostro incontro a Lucca Comics & Games che durante la diretta in streaming di lunedì scorso. Tabata è però sempre radioso e disponibile ad un sorriso; è forse uno degli sviluppatori giapponesi più solari in un settore che si divide tra chi segue la rigidità della cultura giapponese e chi si lascia andare alla stravaganza, come Suda 51 o Hiroshi Matsuyama.
È lui il cuore pulsante di Final Fantasy XV, la mente che ha preso i dogmi della serie e li ha inseriti in un contesto completamente nuovo senza però snaturarli. È l'uomo che ha reso Final Fantasy mainstream. "Una fantasia basata sulla realtà" hanno sempre professato i trailer del gioco, che giunge in seguito ad uno sviluppo decennale iniziato su PlayStation 3 e approdato su PlayStation 4. Una realtà che rende tutto molto più tangibile rispetto a quanto visto finora: dalle ambientazioni ai personaggi, che si muovono per il mondo a bordo di una macchina e non più su grandi navi volanti, passando per l'ottima integrazione tra gli elementi "fantastici" – magie, mostri e abilità – e i contenuti "reali". Una realtà che è peraltro molto italiana: diversi elementi del gioco sono stati ispirati da un viaggio che Tabata ha svolto in Italia quando aveva 20 anni, attraversando il paese da Nord a Sud. Il risultato è che nello sfaccettato mondo di Final Fantasy XV sono presenti diversi richiami anche piuttosto espliciti alla cultura italiana, come la città di Altissia che di fatto risulta una fusione di Venezia con canali, gondole e ponti e il Colosseo romano.
Ciò che colpisce del nuovo episodio è la capacità di Tabata di realizzare un titolo tanto conservatore quanto rivoluzionario, che mostra molti legami con il passato senza aver paura di osare. Forse uno degli elementi che in questo frangente rappresenta meglio il rapporto tra vecchio e nuovo è il personaggio di Cid – ricorrente in tutti gli episodi – che qui viene mostrato come un anziano meccanico, supportato dalla ben più giovane e dinamica Cindy. Sono piccoli dettagli, certo, che però conferiscono all'opera di Tabata un elemento significativo e la elevano da semplice ennesimo capitolo della saga ad uno dei punti di stacco maggiori degli ultimi 30 anni. Il viaggio di 4 ragazzi, compreso il protagonista Noctis, erede al trono del regno di Lucis, diventa un viaggio verso l'ignoto, lontano dalla pace che nel giro della prima notte viene spazzata via dall'impero. Diventa un viaggio di scoperta anche e soprattutto di se stessi, attraverso uno dei mondi più grandi e vibranti degli ultimi anni. Forse poco "vivo", ma comunque immenso.
Un mondo nel quale la serie raggiunge peraltro un perfetto equilibrio nel tanto bistrattato sistema di combattimento, nato a turni e poi evolutosi a partire dal 12esimo episodio in un sistema in tempo reale, che in questo capitolo approda ad un punto d'arrivo definitivo e completamente aperto, nel quale si passa in maniera dinamica dall'esplorazione al combattimento. Un approccio particolarmente interessante quando applicato a determinati nemici, soprattutto quelli colossali capeggiati dal (quasi) impossibile e assolutamente opzionale Adamanthart. Un trend che colpisce inevitabilmente ogni aspetto del gioco, soprattutto quello del viaggio in sé, svolto attraverso lunghi viaggi in macchina che hanno anche l'onere di approfondire la storia attraverso le interazioni tra i personaggi. Un pizzico dei vecchi sapori si ottiene però quando, raccogliendo le parti necessarie, l'automobile ottiene l'abilità di solcare i cieli liberamente. Anche qui, però, senza mai allontanarsi troppo dal reale.
Un risultato ottenuto anche e soprattutto per la volontà di Tabata di osare, scardinando i dogmi della serie e lanciandosi in una narrazione nuova, fatta di dialoghi interminabili a bordo della macchina e di esplorazione continua. Di colpi di scena, azione e fantasie, sempre ben radicate nella realtà. Un'opera magna alla quale si concedono anche i pochi cedimenti, lo scarso approfondimento di alcune tematiche e gli altalenanti problemi tecnici che tanto hanno fatto penare il team di sviluppo nel corso degli ultimi mesi. Poco contano questi elementi nell'economia generale di un gioco che centra in pieno il suo obiettivo iniziale: quello di rilanciare la serie e il settore giapponese, facendolo uscire dall'apatia che lo ha colpito negli ultimi anni e rendendolo davvero mainstream. Tabata ha realizzato un capolavoro che rappresenta una pietra miliare per gli anni a venire e che porterà il mondo a guardare ancora una volta al Giappone nella variopinta e camaleontica industria dei videogiochi.