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Opinioni

Le leggi sui videogiochi non devono nascere da pregiudizi

È stata presentata la proposta di legge per l’introduzione nel nostro ordinamento di una regolamentazione della diffusione e della vendita dei videogiochi destinati ad un pubblico adulto. Un’iniziativa che piace a metà, sporcata da interventi basati su pregiudizi che non hanno mai trovato riscontri effettivi da parte di studi scientifici.
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A cura di Marco Paretti
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“Norme a tutela dei minori in materia di diffusione e vendita di videogiochi violenti e/o pornografici”. È il nome della proposta di legge che punta a mettere un freno alla vendita di videogiochi destinati ad un pubblico adulto anche ai minori. Dai dati di una ricerca Moige (Movimento Italiano Genitori) del 2014, infatti, emerge che i videogiochi non adatti ai minori sono ampiamente diffusi tra i giovani tra gli 11 e i 18 anni. Ne fa uso il 35,1% degli studenti di scuola media e il 43,5% di quelli di scuola superiore. Lo studio è stato svolto negli istituti del territorio nazionale su un campione di 1.845 minori di età compresa tra gli 11 e i 18 anni.

L'acquisto dei videogiochi non adatti avviene nell'80% dei casi presso negozi. Il 41,5% dei minori dichiara di non aver visto alcun avviso che consigliava la vendita del prodotto ad un pubblico adulto. Difficile difendere quest'ultimo punto: ogni scatola di gioco deve mostrare l'indicazione del PEGI – sistema internazionale di classificazione – volta ad indicare proprio la fascia alla quale il software si rivolge. Nel caso dei titoli vietati ai minori, il bollino rosso "18+" è in bella vista su tutte le copertine. In questo contesto, spiega lo studio, solo 1 studente su 4 di scuola media e 1 su 3 di scuola superiore è conscio che il codice PEGI si limita a sconsigliare i prodotti videoludici, ma non a vietarli. Il 44% del campione è convinto che si tratti di reali vincoli normativi all'uso dei videogiochi da parte dei minorenni.

pegi 18

La proposta di legge punta a chiudere proprio questa falla: attualmente la vendita di videogiochi "18+"non è vietata per legge ma soltanto scoraggiata. Il problema è che né i negozianti né i genitori danno peso all'indicazione presente sulla copertina, elemento che porta ad una grande diffusione dei videogiochi "per adulti" anche tra i giovanissimi. Uno dei dati più alti riguarda infatti la permissività dei genitori: seppur quasi sempre al corrente dell'uso di questi prodotti da parte degli adolescenti (in 7 casi su 10), essi non impongono divieti al 70% degli studenti di scuola superiore e al 35% di quelli di scuola media.

Per quanto riguarda il PEGI, in alcuni paesi è legge (nel Regno Unito, per esempio, è imponibile per legge), mentre in altri, Italia compresa, non lo è. In alcune di queste nazioni altri organi sopperiscono a questa mancanza, come la IFCO Irlandese che si occupa della classificazione dei videogiochi, esaminando tutti i titoli che ottengono una valutazione 16 o più da parte del PEGI. La IFCO, proprio come BBFC e PEGI nel Regno Unito, può vietare la vendita di un videogioco ai minori dell'età consigliata. Una situazione alla quale punta l'Italia con questa nuova proposta. Servirà? Non se i genitori e i venditori continueranno ad ignorare l'indicazione, ma una presa di posizione più netta potrebbe modificare comunque la situazione.

videogiochi violenti

Fin qui le intenzioni sono buone. Negli ultimi mesi di attacchi ai videogiochi ce ne sono stati tanti e quasi tutti si basavano sul fatto che anche i più giovani potessero giocare a titoli violenti o dalle tematiche forti, i quali si tiravano dietro tutto il settore, additato come in grado di plagiare la mente o renderci più violenti. Mettendo da parte il fatto che il comunicato parla anche di videogiochi pornografici – una categoria erroneamente associata all'industria videoludica, che con il porno ha un rapporto ben più distante rispetto a, per esempio, quella del cinema – la proposta di legge punta a risolvere un problema che, appurato che i videogiochi non incitano alla violenza, rappresenta l'unico vero punto da discutere in una questione che ormai non riguarda (e non deve riguardare) più i sempre sbandierati e mai dimostrati effetti psicologici dei videogiochi sulle persone.

Il problema arriva leggendo le dichiarazioni dei deputati coinvolti dall'iniziativa e dal direttore generale del Moige, che definisce i videogiochi come un qualcosa in grado di "recare evidenti danni e conseguenze comportamentali e psicologiche". Elemento che diversi studi hanno smentito con forza. Sulla stessa linea è l'onorevole Valentina Vezzali, che parla, senza specificare fonti, "dell'analisi dei problemi collegati agli effetti che alcuni videogiochi possono avere sui bambini e sugli adolescenti", invocando l'intervento del governo per "legiferare al più presto per prevenire i gravi disagi psichici e comportamentali che videogiochi inidonei possono provocare ai nostri ragazzi". Insomma, la proposta si pone come obiettivo un traguardo corretto e in linea con la situazione di altri paesi, ma basa i suoi presupposti su pregiudizi che non hanno mai trovato riscontri effettivi da parte di studi scientifici.

pegi 18

È giusto che un'opera venga catalogata come inadatta ad un pubblico giovane – è così per film, programmi TV e tutta una serie di prodotti digitali e non – ma se nel farlo si utilizzano questi termini, si tradisce la presenza di una serie di pregiudizi che continuano ad essere radicati nella nostra cultura e, peggio, proprio nelle figure che quella legge la stanno discutendo. Pregiudizi che continuano ad essere preferiti ad opinioni di esperti come quella di Alessandra Carenzio, docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e ricercatrice del Cremit, che considera i videogiochi come "uno strumento eccezionale per stare insieme e una risorsa fondamentale per creare un rapporto ancora più profondo tra genitori e figli". Un'iniziativa che piace solo a metà, quindi, come ormai siamo abituati quando si parla di questo medium. D'altronde in Italia quando dobbiamo trattare di videogiochi intervistiamo youtuber e quando non li capiamo chiamiamo l'amica parlamentare.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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