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Fallout 4, il complesso futuro post-atomico di Bethesda

Il quarto capitolo di Fallout punta tutto sull’atmosfera, sul rafforzamento delle già ottime meccaniche e su un enorme cast di personaggi. Il risultato è un mondo vivo, profondo e dinamico, all’interno dei quale i giocatori sono liberi di girovagare scoprendo le (tante) cose da fare fuori dal valuta 111.
A cura di Marco Paretti
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fallout 4 recensione

Se da un lato è vero che nel corso degli ultimi anni il genere degli open world ha rappresentato un segmento importante del settore videoludico, lo è altrettanto il fatto che Bethesda sia uno degli studi di sviluppo in grado di confezionare titoli appartenenti a questo genere con più cura e profondità, anche se messa a confronto con mostri sacri come Rockstar. E se da una parte si tenta di ricreare mondi quanto più vicini alla nostra realtà, le creazioni di Bethesda hanno sempre proposto mondi fantasy o fantascientifici nei quali milioni di videogiocatori si sono persi per centinaia di ore. Lo ha dimostrato con la serie The Elder Scrolls e continua a sottolinearlo con Fallout, una delle saghe più apprezzate che proprio con il terzo capitolo, i cui diritti erano stati acquisiti dalla defunta Black Isle Studios, aveva riacceso una passione sfrenata nei confronti di un mondo nato nel 1997.

Una rinascita, quella di Fallout 3, che aveva chiarito subito le cose: Bethesda non era solo in grado di creare un mondo enorme, denso e vivo, ma anche di affiancarlo a meccaniche nuove e interessanti, fondendo in maniera eccezionale gli elementi cari agli sparatutto con quelli che più si avvicinano ai giochi di ruolo. Era (ri)nato un fenomeno. Per questo l'attesa di Fallout 4 è alle stelle; basta leggere i commenti degli appassionati (e non) sul web per capire che questo periodo invernale sarà dominato dalle lande post-atomiche di Fallout 4 e dal suo incredibile cast di personaggi. Ma partiamo dalle basi. Il quarto capitolo prende casa a Boston, 200 anni dopo l'esplosione delle bombe nucleari che hanno distrutto ogni cosa e hanno riportato la civiltà ad uno stato instabile e composta da una moltitudine di gruppi, bande e piccoli e grandi insediamenti. La rivoluzione di Fallout coincide con i primi momenti di gioco: non più all'interno del vault ma negli Stati Uniti pre-atomici, all'interno di una casa in stile anni 60′ inserita in una ridente cittadina.

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Questo cambiamento stravolge le carte in tavola, soprattutto per il protagonista, che qui non è più un personaggio nato e cresciuto all'interno dell'ambiente ostile del vault, ma una figura che, attraverso un processo che non vi sveleremo, ha conosciuto il mondo prima della catastrofe ed è stato "trasportato" 200 anni nel futuro. Un elemento che lo rende unico e che crea nuove dinamiche nel rapporto con i personaggi che popolano il mondo. E se da un lato la presenza del doppiaggio – in Fallout 3 era "muto" – e di un obiettivo ben preciso possono far credere che il protagonista si distanzi dal giocatore, il fatto che abbia conosciuto l'era pre-bombe lo rende di fatto più vicino a noi, infondendolo dello stesso spaesamento che ci colpisce nel momento in cui mettiamo piede fuori dal vault 111.

L'impostazione narrativa di questo quarto capitolo coincide anche con un ritmo piuttosto serrato che non si perde in tanti preamboli e va subito a gettarci nel vasto mondo di gioco, mettendoci in contatto con personaggi e rimasugli di civiltà che costituiscono la nuova fragile società. Il tema della perdita e della ricerca diventa martellante fin dai primi momenti; dovremo ritrovare nostro figlio, anch'esso entrato nel vault 111 ma poi rapito da un'organizzazione misteriosa. Si passa così a conoscere i primi gruppi nomadi, la forza di polizia, gli abomini generati dalle radiazioni e gli accampamenti sparsi qua e là sulla mappa, fino ad arrivare alle varie città più grandi e difese. Se da un lato l'esplorazione non sottolinea un'eccezionale grandezza del mondo, dall'altro ricorda proprio l'abilità di Bethesda di rendere questi luoghi virtuali vivi e dinamici. Lo si capisce già dai primi spostamenti, quando si incontrano due banditi intenti a rapinare un bar o un uomo che ne minaccia un altro con una pistola, accusandolo di essere un sintetico, un clone di sé stesso.

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Sono questi momenti, che peraltro ci lasciano piena libertà di intervenire o meno, a rendere Fallout un gioco grandioso. Non solo per la capacità di creare una storia credibile in un mondo decaduto, ma anche per l'enorme abilità di rendere quel mondo più di una semplice accozzaglia di luoghi da visitare tra una missione e l'altra. Affermare che la mappa è piccola – cosa peraltro non propriamente vera – significherebbe ignorare tutti gli elementi che ne caratterizzano ogni zona e che costituiscono il collante di un mondo mai così vivo e profondo. E se ci sentiamo soli i nostri compagni di viaggio saranno pronti a darci una mano; primo su tutti Dogmeat, il pastore tedesco conosciuto in Fallout 3 che in questo nuovo episodio ha ottenuto un posto da protagonista ed è in grado di aiutarci a scovare nemici ed oggetti utili. Profondità che si riflette anche nel sistema di gestione del personaggio e delle sue abilità, come sempre raccolte dal sistema S.P.E.C.I.A.L. e gestibili dal fido Pip Boy, il dispositivo che i personaggi indossano al braccio e che permette di accedere a tutte le opzioni di personalizzazione.

Le abilità continuano quindi ad essere suddivise per valori principali – forza, carisma, percezione, etc – che a loro volta danno accesso a sotto-abilità da sbloccare utilizzando i punti ottenuti ad ogni aumento di livello, le quali ci permetteranno di sfruttare nuove capacità come danni potenziati, maggiore possibilità di convincere gli altri nei dialoghi e furtività aumentata. Ma anche una maggiore durata dello sprint, elemento (finalmente) inserito con criterio nel gioco. Un sistema che continua a funzionare grazie anche all'ormai famoso V.A.T.S., il sistema di puntamento introdotto in Fallout 3 – ma ispirato ad una funzionalità simile presente nei primi due episodi – che permette di selezionare una parte del corpo da colpire: più è distante e piccola e più sarà difficile fare centro. Un'impostazione che, ancora una volta, dimostra la sua estrema funzionalità, soprattutto in un contesto comunque guidato da specifiche legate ad abilità e caratteristiche fisiche. Fallout 4 introduce poi la possibilità di creare e potenziare accampamenti, all'interno dei quali conservare l'equipaggiamento e creare o migliorare le nostre armi. In questo caso le opzioni di personalizzazione sono pressoché infinite: per le 50 armi da fuoco presenti nel gioco, sono oltre 700 le combinazioni possibili da creare sfruttando i componenti sparsi nel mondo. Oltre a questo, torna ovviamente anche l'armatura T-60, che qui gode di un sistema di danni rivisto e di nuovi elementi grafici legati al suo stato.

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Se c'è un elemento che in questa perfetta sinergia stona è quello tecnico. Sebbene il passo in avanti rispetto al terzo capitolo sia evidente – stiamo comunque parlando dello sbarco della serie su console di nuova generazione – è innegabile che qualità delle texture, definizione dei volti e profondità della visuale siano un po' sottotono rispetto alle produzioni degli ultimi anni. Un elemento che si fa subito notare, ma che raramente riesce a rovinare l'atmosfera del mondo di gioco. Peraltro proprio l'aspetto visivo rappresenta una delle novità più grandi; se Fallout 3 aveva proposto lande dai colori estremamente desaturati e dalla vegetazione pressoché inesistente, questo quarto capitolo propone una palette cromatica più accesa e un mondo caratterizzato (anche) da luoghi dai colori più vivaci e da una rinascita del verde. Elemento che, peraltro, si avvicina maggiormente alla realtà: luoghi come Chernobyl dimostrano che una zona distrutta da un cataclisma atomico può tornare ad essere avvolta nel verde pur restando off-limits per gli umani. E quale esempio migliore se non la città russa per rappresentare le ambientazioni post-apocalittiche di Fallout? L'altro "problema" del gioco è il suo stesso punto di forza. Un titolo così lungo, denso e profondo diventa per forza di cose estremamente difficile, sia perché all'inizio veniamo lanciati all'interno di un mondo ostile con attrezzatura ridicola, sia perché gli vanno dedicate molte ore per poterlo apprezzare pienamente. Un elemento che i fan di lunga data conoscono bene, ma che i neofiti dovrebbero tenere bene a mente, soprattutto perché il filone principale della trama risulta essere piuttosto diluito in queste molte (e per lo più valide) distrazioni.

Insomma, Bethesda l'ha fatto di nuovo. È riuscita a creare un mondo vivo, profondo e dinamico, accompagnandolo con una storia ancora più curata e soprattutto in grado di immergere maggiormente i giocatori nei panni del protagonista e all'interno delle lande desolate di Fallout. Nonostante gli intoppi tecnici, il quarto capitolo della serie funziona perché riesce a ricreare egregiamente l'elemento più importante di tutti: l'atmosfera. Aggirarsi per le strade deserte, entrare negli accampamenti, parlare con gli abitanti ed eliminare i mostri radioattivi sono situazioni che restituiscono un sapore completo e soddisfacente e rappresentano l'elemento chiave che ha garantito a Fallout di entrare con così tanta prepotenza nell'immaginario dei videogiocatori. Benvenuti nell'era post-atomica, dove tutto è cambiato e niente è cambiato. Perché, come recita il leitmotiv del gioco, la guerra non cambia mai.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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